(di Maria Novella Topi) – ROMA, 5 APRILE – Un gran numero di dichiarazioni di principio e di risoluzioni, tante raccolte di firme, referendum e pronunciamenti, persino il rimando contenuto nell’Enciclica papale ‘Laudato sii’: ma nonostante tutto sono ancora oltre 663 milioni le persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile, oltre 2,5 miliardi quelle cui mancano i servizi igienici di base, 1,5 milioni i bambini che muoiono prima di raggiungere i 5 anni e 443 milioni i giorni perduti di scuola.
La fotografia del diritto all’acqua come diritto umano fondamentale è, nonostante tanti sforzi, ancora impietosa se si sta ai dati raccolti da organizzazioni internazionali come Oms, Unicef, Fao, e tanti altri. E ha fatto da sfondo a Roma ad una giornata di studio e approfondimento organizzata dal Comitato interministeriale per i Diritti Umani del ministero degli Esteri e della Cooperazione e dal Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua (Cicma) , che ha visto confrontarsi tecnici del settore, parlamentari italiani ed europei, giuristi e istituzioni, persino esperti di filosofia del Diritto e esponenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Tutti accomunati dalla consapevolezza che occorre andare oltre i passi fin qui compiuti dalle Nazioni Unite e dai singoli governi e che è necessario sancire, nella nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, il diritto all’acqua come diritto umano fondamentale, nell’accezione che il diritto all’accesso all’acqua è condizione ”precedente” il raggiungimento di tutti gli altri diritti, quali quello alla salute, all’uguaglianza, alla non discriminazione. E nella convinzione che solo un’acqua pubblica, per tutti, non mercificata, non privatizzata, è l’unica risposta.
L’incontro ha anche preso in esame il progetto di ‘Protocollo per il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici’ opzionale al Pidesc (Patto Internazionale relativo ai diritti economici e sociali internazionali, entrato in vigore nel 2013) che dovrebbe diventare uno strumento di diritto internazionale sul tema, cogente per gli stati che lo ratificano e capace di tradurre in norme vincolanti (e non solo ‘enuncianti’) il principio che l’acqua è un diritto umano universale.
Il sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova, che ha introdotto i lavori, ha rilevato come la mancanza del diritto primario all’accesso alle fonti idriche pulite, possa, a cascata, minare ad esempio la coesione delle comunità rurali, oltre che, naturalmente ”la salute, la scolarizzazione, il lavoro, in particolare quello delle donne”.
Della Vedova ha anche introdotto un tema che è stato poi ripreso da tutti gli altri intervenuti: quello della necessità di poter disporre di dati certi, numerosi e armonizzati in modo da poter scegliere, decidere e programmare gli interventi, soprattutto in quelle parti del mondo in cui la mancanza di acqua sicura è emergenza di tutti i giorni.
Se per Paolo Turrini, della Scuola di studi internazionali di Trento, innumerevoli sono stati i pronunciamenti in favore del diritto all’acqua – con il salto di qualità del 1992 a Dublino – è necessario far rispettare proprio le novità in tema di diritto non discriminatorio che sono capisaldi come il rispetto della precedenza agli usi domestici, il divieto di disconnessione in caso di mancati pagamenti e di incapienza. E ancora la tutela delle caratteristiche fondamentali che dovrebbe avere l’acqua: qualità elevata, accessibilità, economicità…
Lynn Boylan, della Commissione ambiente del parlamento Europeo ha denunciato il modo ”deludente e debole” con il quale la Commissione europea ha accolto il voto di Strasburgo dello scorso autunno sull’acqua come diritto umano, e la grande raccolta di firme (circa due milioni) per la campagna ‘Right2Water’ volta a cambiare la direttiva sull’acqua potabile e sul suo monitoraggio – prima iniziativa legislativa ‘dal basso’ nella storia della Ue. Boylan ha anche annunciato per il prossimo giugno una conferenza ad alto livello sul tema.
In realtà a distanza di circa 6 anni dalle risoluzioni dell’Onu sul ”diritto umano, universale e inalienabile all’acqua e ai servizi igienico sanitari come diritto autonomo e specifico”, l’accesso ad un ”minimo vitale” non è assicurato in nessun paese del mondo, e la nuova Agenda degli obiettivi di Sviluppo sostenibile 2030, approvata dall’Onu nel settembre scorso, non è ”vincolante” e, a giudicare dai numeri, ”non basta”.
In Italia, dopo il referendum del 2011 con il quale i cittadini hanno di fatto bocciato la privatizzazione, la Cooperazione ha adottato nel luglio del 2015 le ”Linee guida per una azione della cooperazione italiana nel settore dell’acqua” e alla Camera è in discussione una proposta di legge parlamentare che prevede tra l’altro il riconoscimento del diritto umano all’acqua e strumenti di solidarietà internazionale per garantirne all’accesso ai più poveri.
Certo, se il Papa, come ha ricordato Tebaldo Vinciguerra, parla di ”debito ecologico, e di acqua che spesso può diventare fattore di disuguaglianza”, il professor Luigi Ferrajoli, filosofo della Scienza, ha preso a prestito le categorie economiche di Smith, Ricardo e Marx e ha parlato di valore d’uso, merci, mercato, denaro e prezzi. ”Cosa succede – si è chiesto Ferrajoli – se l’acqua come bene comincia a diventare scarsa, grazie all’opera distruttiva dell’uomo e alla sua trasformazione in merce?” . Essa assume un valore altissimo, ma diventa un paradosso per le stesse leggi di mercato della domanda e dell’offerta. E se non è ”naturalmente” diritto comune, aggiunge, lo deve diventare attraverso il diritto, attraverso una legge di attuazione come tutti gli altri diritti fondamentali , con gli obblighi e i divieti prestabiliti.
Così, è la sintesi condivisa da tutti, è possibile evitare la mercificazione dell’acqua che andrebbe inserita in una Carta mondiale dei beni fondamentali dell’uomo.