È per questo che assicurare una buona gestione delle risorse idriche è fondamentale (nonché un dovere morale) anche nelle aree più fortunate della Terra. Ecco allora alcune idee, proposte, esperienze raccolte in giro per il mondo che possono rappresentare una sorta di decalogo: utile per chi amministra e gestisce l’acqua così come per i cittadini.
1. Aiutare le imprese a consumare meno
Le imprese possono fornire un contributo eccezionale in termini di risparmio idrico. Uno studio condotto dall’ente di certificazione internazionale Dnv Gl Business Assurance e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale – citato daGabriella Chiellino, presidente di eAmbiente Group, in un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa – ha rivelato che in Italia solo il 57 per cento delle aziende ritiene che le problematiche relative all’acqua possano avere un impatto sulle proprie strategie di business. Mentre il 40 per cento dichiara di non essere informato sulla legislazione specifica in materia di acqua.
A fronte di ciò, però, alcune imprese si sono invece impegnate fortemente nella riduzione dei consumi. È il caso di Barilla e Mutti, ad esempio. La prima ha ad esempio “rilocalizzato” in Italia la coltivazione di grano da una regione arida degli Stati Uniti, riducendo sensibilmente l’uso di acqua. Mentre Mutti ha calcolato, assieme al Wwf, la sua impronta idrica totale, ovvero la quantità di acqua presente in ogni suo prodotto, compresa quella necessaria, ad esempio, per la produzione degli imballaggi.
Per invogliare anche altre aziende a seguire l’esempio si possono ideare incentivi fiscali, campagne di sensibilizzazione, tariffe agevolate per i più virtuosi. Un compito che spetta, ovviamente, alle amministrazioni pubbliche.
2. Contenere il dissesto idrogeologico
Soprattutto in Italia, il problema del dissesto idrogeologico è estremamente presente nella vita di milioni di cittadini. Basti pensare alle alluvioni che hanno colpito l’interno della Liguria negli ultimi anni. Ma come affermato dal Consiglio nazionale della Green Economy, «su bacini idrografici che hanno subito per alcuni decenni una crescita esponenziale del territorio urbanizzato non basta fermare il consumo di suolo. È necessario tornare indietro: restituire alle aree la capacità di laminare ed infiltrare l’acqua piovana. Un processo avviato ormai da alcuni anni, soprattutto nei paesi anglosassoni ma anche in gran parte del Nord Europa, attraverso la diffusione di una varietà di approcci e tecniche che vanno complessivamente sotto il nome di Sistemi Urbani di Drenaggio Sostenibile».
In termini concreti, si tratta di adottare misure e infrastrutture volte ad aumentare la capacità di deflusso delle acque piovane ogni volta che si realizzano opere piccole o di medie dimensioni: strade, raccordi, edifici pubblici o privati, fabbriche. Perché “attraverso molti piccoli interventi diffusi, è possibile dare un contributo molto significativo”. Diminuendo anche il rischio di contaminazione delle falde acquifere e dunque preservando le risorse.
3. Ridurre le perdite in rete
Un altro elemento fondamentale per una gestione sana delle risorse idriche è diminuire le perdite che si registrano sulla rete. Proprio con questo obiettivo la società Lyonnaise des Eaux, che gestisce la distribuzione di acqua pubblica nella città francese di Lione, ha lanciato ad esempio lo “Smart metering”. Si tratta di un sistema di telerilevamento (con contatori dotati di trasmettitori ad ampio raggio) che consente ai cittadini di monitorare quotidianamente i loro consumi, e agli amministratori di individuare dati anomali.
E non si tratta di una questione da poco: la stessa azienda spiega infatti che in media la dispersione “è pari al 25 per cento, con punte che possono arrivare al 40 per cento in alcune aree”.
4. Controlli mirati, zona per zona, sostanza per sostanza
Fondamentale è poi, ovviamente, il controllo della qualità dell’acqua pubblica. In Italia la legge prevede controlli su una vasta gamma di sostanze contaminanti. Ma si tratta di una formula rigida, uguale per tutto il paese. Mentre in realtà ciascun territorio ha le sue caratteristiche, la sua storia. E dunque esigenze diverse.
In Italia la normativa per i controlli idrici è unica in tutto il paese. Sarebbero utili invece controlli mirati in determinate aree
Per questo il Gruppo Cap, ha proposto di introdurre controlli specifici zona per zona, alla ricerca di contaminanti peculiari. Concentrando maggiori sforzi, ad esempio, sulla ricerca di determinate sostanze (in alcune aree si sono riscontrati, ad esempio, problemi legati all’arsenico o all’atrazina). In questo modo si può garantire più facilmente una buona qualità dell’acqua, a tutto vantaggio della sicurezza dei cittadini.
“Il nostro gruppo – aggiunge Anglese – è il primo in Italia ad aver avviato un progetto come il Wsp, Water Safety Plan, in applicazione alla direttiva europea sulle acque potabili, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un sistema globale di gestione del rischio esteso all’intera filiera idrica, dalla captazione fino all’utenza finale. Esso consentirà di garantire ancor meglio la qualità dell’acqua potabile erogata”.
5. Nuove tecnologie per disinfettare?
Un ulteriore punto fondamentale è legato alle tecnologie per la disinfezione dell’acqua pubblica. L’uso del cloro (la cosiddetta clorazione) è uno dei sistemi più utilizzati, grazie soprattutto alle caratteristiche battericide della sostanza. È anche la procedura meno costosa, permette di mantenere l’agente disinfettante in permanenza nell’acqua e non presenta rischi per la salute.
Oltre al cloro esistono ormai anche alcune alternative per disinfettare l’acqua pubblica
Ma esistono anche delle nuove tecnologie. È possibile ad esempio eliminare la maggior parte dei germi grazie a delle membrane che filtrano l’acqua bloccando virus e batteri. “Ma si possono anche trattare gli impianti attraverso la tecnologia a radiazione ultravioletta – sottolinea Anglese – oppure mediante ozonizzazione. Il vantaggio della prima, è che si evita il contatto del cosiddetto reagente con l’acqua, diversamente da quanto accade con l’ozono o con il biossido di cloro”.
6. Riflettere sul costo dell’acqua
Altro punto sul quale riflettere è legato al costo dell’acqua, con l’obiettivo di ridurre i consumi e (soprattutto) gli sprechi. Modulando i prezzi, infatti, è probabilmente possibile orientare anche l’utilizzo della risorsa. In Italia, ad esempio, l’acqua costa pochissimo: in media 1,55 euro al metro cubo. In alcune città anche meno, fino a 60 centesimi. In Francia, al contrario, costa 2,82 euro, in Belgio e in Lussemburgo 3,44. Ciò significa che il nostro è un sistema magnanimo e quelli altrui no? Non esattamente. Certo, l’acqua è un bene comune, essenziale, e un diritto fondamentale. Ma è anche vero che una bolletta troppo leggera può incentivare un uso troppo disinvolto del bene.
Nella città francese di Rennes, ad esempio, dal luglio del 2015 è stato introdotto un sistema tariffario declinato in termini sia sociali che ecologici. Il consumo dei primi dieci metri cubi è infatti gratuito, per aiutare i meno abbienti. Dalla goccia successiva, su applica una tariffa, che però è variabile in funzione dei consumi: più questi aumentano, più aumenta il prezzo al metro cubo. Questo per i cittadini. Per le aziende, è stata invece cancellata la tariffa regressiva (che, paradossalmente, diminuiva all’aumentare dei consumi).
7. Canali irrigui al posto di vasche anti-inondazione
Nell’ambito di una gestione virtuosa dell’acqua, inoltre, è necessario affrontare poi il problema del contenimento delle piene derivanti dalle alluvioni. Una possibile soluzione è la costruzione di vasche volano: si tratta di grandi “contenitori” in cemento, utili per raccogliere le acque in eccesso vicino ai fiumi. Il problema è che l’impatto visivo di tali opere, spesso edificate in cemento, è particolarmente forte.