Acqua rubinetto

Trend in crescita per il gradimento dell’acqua del rubinettoda parte della popolazione italiana: oltre due terzi delle famiglie, il 71,8%, sceglie l’acqua a km zero e quasi una persona su due, dichiara di berla 'sempre o quasi sempre' (44%). Emerge dalla ricerca ''Consumo di acqua potabile presso la popolazione italiana'' scturiti dall’indagine commissionata dall'Associazione Aqua Italia, all’istituto indipendente telesurvey Research.

In particolare, il nord est si riconferma come l'area più virtuosa d'Italia per il consumo abituale di acqua del rubinetto, trattata e non, sale al 62,7% (era il 57,3% nel 2014) . Maglia nera, ancora una volta, per il Sud dove il solo il 33,4 (Sud e Sicilia) dichiara di berla quotidianamente. Quali sono le ragioni per le quali gli italiani preferiscono l’acqua del rubinetto rispetto alla cugina in bottiglia? Gli italiani diventano più pigri: la prima ragione è infatti la comodità di non dover più trasportare casse di acqua dal supermercato fino a casa, risponde così il 28,6%, era il 22,5 nel 2014. Ma aumenta anche la sensibilità verso la sicurezza, il 20,4% degli intervistati infatti dichiara di preferire l’acqua del sindaco perché questa è sottoposta a maggiori controlli rispetto all’acqua in bottiglia (era il 17,5 nel 2014).

Aumenta il successo anche dei sempre più diffusi i Chioschi dell’Acqua, moderna evoluzione delle antiche fontanelle; a conoscere il servizio è oggi il 67% degli italiani, era il 58 nel 2014. Inoltre, ormai il 42% degli intervistati vive in un comune che offre questo servizio ai cittadini, riprova del fatto che i Chioschi dell’Acqua sono sempre più diffusi e apprezzati sul territorio nazionale.

La ricerca si quindi concentrata di nuovo sull’acqua consumata presso le abitazioni private e in particolare sugli eventuali dispositivi di trattamento utilizzati: tra coloro che bevono sempre o quasi sempre l'acqua del rubinetto, circa un terzo (32,4%) ha almeno un apparecchio per l’affinaggio dell’acqua: al primo posto si attestano gli apparecchi con sistema a osmosi inversa, seguono le caraffe filtranti e gli apparecchi con filtro per l’eliminazione del cloro.

Tutti i sistemi sopra citati (tranne le caraffe filtranti) necessitano di manutenzione periodica eseguita da personale tecnico specializzato. Si è, quindi, indagato su quanti possiedano un abbonamento di manutenzione e si è scoperto che il 38% (contro il 30% del 2014) dichiara di averne sottoscritto uno. ''Bene per l’aumento percentuale registrato -si sottolinea in una nota- ma il tema della manutenzione rimane ancora centrale poiché una valida attività di manutenzione è fondamentale per avere sempre acqua sicura, buona e salubre a portata di rubinetto''.

Acqua pubblica aqastyle news

«Perché sette mesi dopo i referendum non è (ancora) cambiato niente?». Questo era l’occhiello di un articolo del ilpost.it datato 11 febbraio 2012. Quattro anni dopo possiamo scrivere lo stesso. Siamo ancora fermi al vuoto post referendario, l’abrogazione, così come avvenuta, ha lasciato un vuoto normativo: non è chiaro come regolarsi per l’affidamento del servizio idrico e per il calcolo delle tariffe. Diverse amministrazioni hanno deciso, nell’incertezza normativa, di prolungare l’affidamento delle risorse idriche alle aziende che lo gestivano, con tanto di ricorsi e proteste per un atto lecito ma politicamente controverso.

Insomma si continua a fare un po’ come si può e conviene… ai privati.

Ma perché l’esito della consultazione referendaria non è mai stato ratificato da una legge nazionale e l’acqua è ancora affidata al mercato? Ricordiamo che i quesititi sull’acqua pubblica furono i più votati e il sì ottenne oltre il 95 per cento dei voti. Il messaggio era chiarissimo: l’acqua bene pubblico, bene comune, non può e non deve sottostare alle leggi di mercato. Votando sì, si scelse di abrogare la legge del Governo Berlusconi che obbligava ad andare a gara per affidare il servizio idrico e a cedere quote azionarie ai privati. Privati che – secondo quesito del referendum – non avrebbero più potuto inserire in tariffa i loro profitti.

«Sono passati quattro Governi e però di fatto l’esito referendario rimane disatteso e anzi si sta andando in direzione ostinata e contraria: un esempio eclatante è il fatto che con la Legge di Stabilità dell’anno scorso si incentivano gli enti locali cedere le quote con cui partecipano alle aziende con cui garantiscono il servizio idrico e i servizi pubblici. L’obiettivo finale è di cedere al mercato servizi pubblici essenziali» ben spiega Paolo Corsetti portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’acqua bene comune.

Insomma pare che il Governo incoraggi e voglia sostenere i grandi gestori già presenti in Italia così da renderli più forti per poter competere con le grandi multinazionali. Come fa? Il decretoSblocca Italia e la Legge di stabilità incentivano processi di aggregazione, fusione e dismissione delle partecipate dagli Enti Locali, a vantaggio dei quattro grandi aziende – A2A, Iren, Hera e Acea – già quotate in Borsa. E non dimentichiamo il Ddl Madia, che, se approvato nell’attuale versione, rappresenta un’ulteriore delega al Governo con indicazioni precise che puntano al rilancio dei processi di privatizzazione.

Come si traduce questa manovra? Prendiamo il caso siciliano: il Governo ha impugnato la legge che la Regione Sicilia aveva fatto per tornare all’acqua pubblica e ora l’acqua è ancora in balia del mercato, e l’isola ha raggiungendo il record della privatizzazione con 5 gestori privati su 9. Le conseguenze le potete vedere su Presadiretta che ha documentato la folle, triste e assurda situazione della provincia di Agrigento.

Sono intervenuti anche i segretari confederali della Cgil, Danilo Barbi e Fabrizio Solari in un comunicato diffuso ieri (17 febbraio).

«Il testo non ancora ufficiale e attualmente in circolazione contiene indicazioni che di fatto annullerebbero l’esito del referendum: l’esclusione del servizio idrico dalla gestione in economia e il tentativo di inserire norme in materia di tariffe in contrasto con l’esito referendario. Pur consapevoli della necessità di completare il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali, che devono diventare sempre più competitivi e di livello economico e garantire i bisogni dei cittadini nella loro comunità locale contrasteremo l’approvazione di quei punti del testo unico palesemente in contrasto con i risultati del referendum».

«La battaglia è ancora aperta e noi non ci tireremo indietro. Tutta Slow Food Italia – tra i promotori del Forum italiano dei movimento per l’acqua bene comune – è pronta a ripetere se necessario l’esperienza di 4 anni fa. Metteremo a disposizione le nostre sedi locali e cercheremo di tenere informati quanto più possibile sulla situazione. Nel 2011 oltre il 50% degli elettori italiani ha chiesto chiaramente e a gran voce un intervento legislativo. Come è possibile che ancora non si sia arrivati a formulare una vera riforma del servizio idrico integrato?L’augurio è che la legge di iniziativa popolare, attualmente in discussione alla Camera, possa colmare il vuoto legislativo e soprattutto dotare il nostro Paese di una normativa che la tuteli l’acqua e la sua qualità, e che soprattutto la restituisca a tutti noi» assicura Gaetano Pascale presidente di Slow Food Italia.

aqastyle news acqua
L’acqua è un bene comune. Fondamentale, prezioso e sempre più raro. Secondo i dati del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, oggi circa 748 milioni di esseri umani non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 miliardi devono fronteggiare una scarsità cronica.

È per questo che assicurare una buona gestione delle risorse idriche è fondamentale (nonché un dovere morale) anche nelle aree più fortunate della Terra. Ecco allora alcune idee, proposte, esperienze raccolte in giro per il mondo che possono rappresentare una sorta di decalogo: utile per chi amministra e gestisce l’acqua così come per i cittadini.

1. Aiutare le imprese a consumare meno

Le imprese possono fornire un contributo eccezionale in termini di risparmio idrico. Uno studio condotto dall’ente di certificazione internazionale Dnv Gl Business Assurance e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale – citato daGabriella Chiellino, presidente di eAmbiente Group, in un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa – ha rivelato che in Italia solo il 57 per cento delle aziende ritiene che le problematiche relative all’acqua possano avere un impatto sulle proprie strategie di business. Mentre il 40 per cento dichiara di non essere informato sulla legislazione specifica in materia di acqua.

A fronte di ciò, però, alcune imprese si sono invece impegnate fortemente nella riduzione dei consumi. È il caso di Barilla e Mutti, ad esempio. La prima ha ad esempio “rilocalizzato” in Italia la coltivazione di grano da una regione arida degli Stati Uniti, riducendo sensibilmente l’uso di acqua. Mentre Mutti ha calcolato, assieme al Wwf, la sua impronta idrica totale, ovvero la quantità di acqua presente in ogni suo prodotto, compresa quella necessaria, ad esempio, per la produzione degli imballaggi.

Per invogliare anche altre aziende a seguire l’esempio si possono ideare incentivi fiscali, campagne di sensibilizzazione, tariffe agevolate per i più virtuosi. Un compito che spetta, ovviamente, alle amministrazioni pubbliche.

2. Contenere il dissesto idrogeologico

Soprattutto in Italia, il problema del dissesto idrogeologico è estremamente presente nella vita di milioni di cittadini. Basti pensare alle alluvioni che hanno colpito l’interno della Liguria negli ultimi anni. Ma come affermato dal Consiglio nazionale della Green Economy, «su bacini idrografici che hanno subito per alcuni decenni una crescita esponenziale del territorio urbanizzato non basta fermare il consumo di suolo. È necessario tornare indietro: restituire alle aree la capacità di laminare ed infiltrare l’acqua piovana. Un processo avviato ormai da alcuni anni, soprattutto nei paesi anglosassoni ma anche in gran parte del Nord Europa, attraverso la diffusione di una varietà di approcci e tecniche che vanno complessivamente sotto il nome di Sistemi Urbani di Drenaggio Sostenibile».

 In termini concreti, si tratta di adottare misure e infrastrutture volte ad aumentare la capacità di deflusso delle acque piovane ogni volta che si realizzano opere piccole o di medie dimensioni: strade, raccordi, edifici pubblici o privati, fabbriche. Perché “attraverso molti piccoli interventi diffusi, è possibile dare un contributo molto significativo”. Diminuendo anche il rischio di contaminazione delle falde acquifere e dunque preservando le risorse.

3. Ridurre le perdite in rete

Un altro elemento fondamentale per una gestione sana delle risorse idriche è diminuire le perdite che si registrano sulla rete. Proprio con questo obiettivo la società Lyonnaise des Eaux, che gestisce la distribuzione di acqua pubblica nella città  francese di Lione, ha lanciato ad esempio lo “Smart metering”. Si tratta di un sistema di telerilevamento (con contatori dotati di trasmettitori ad ampio raggio) che consente ai cittadini di monitorare quotidianamente i loro consumi, e agli amministratori di individuare dati anomali.

E non si tratta di una questione da poco: la stessa azienda spiega infatti che in media la dispersione “è pari al 25 per cento, con punte che possono arrivare al 40 per cento in alcune aree”.

4. Controlli mirati, zona per zona, sostanza per sostanza

Fondamentale è poi, ovviamente, il controllo della qualità dell’acqua pubblica. In Italia la legge prevede controlli su una vasta gamma di sostanze contaminanti. Ma si tratta di una formula rigida, uguale per tutto il paese. Mentre in realtà ciascun territorio ha le sue caratteristiche, la sua storia. E dunque esigenze diverse.

In Italia la normativa per i controlli idrici è unica in tutto il paese. Sarebbero utili invece controlli mirati in determinate aree

Per questo il Gruppo Cap, ha proposto di introdurre controlli specifici zona per zona, alla ricerca di contaminanti peculiari. Concentrando maggiori sforzi, ad esempio, sulla ricerca di determinate sostanze (in alcune aree si sono riscontrati, ad esempio, problemi legati all’arsenico o all’atrazina). In questo modo si può garantire più facilmente una buona qualità dell’acqua, a tutto vantaggio della sicurezza dei cittadini.

“Il nostro gruppo – aggiunge Anglese – è il primo in Italia ad aver avviato un progetto come il Wsp, Water Safety Plan, in applicazione alla direttiva europea sulle acque potabili, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un sistema globale di gestione del rischio esteso all’intera filiera idrica, dalla captazione fino all’utenza finale. Esso consentirà di garantire ancor meglio la qualità dell’acqua potabile erogata”.

5. Nuove tecnologie per disinfettare?

Un ulteriore punto fondamentale è legato alle tecnologie per la disinfezione dell’acqua pubblica. L’uso del cloro (la cosiddetta clorazione) è uno dei sistemi più utilizzati, grazie soprattutto alle caratteristiche battericide della sostanza. È anche la procedura meno costosa, permette di mantenere l’agente disinfettante in permanenza nell’acqua e non presenta rischi per la salute.

Oltre al cloro esistono ormai anche alcune alternative per disinfettare l’acqua pubblica 

Ma esistono anche delle nuove tecnologie. È possibile ad esempio eliminare la maggior parte dei germi grazie a delle membrane che filtrano l’acqua bloccando virus e batteri. “Ma si possono anche trattare gli impianti attraverso la tecnologia a radiazione ultravioletta – sottolinea Anglese – oppure mediante ozonizzazione. Il vantaggio della prima, è che si evita il contatto del cosiddetto reagente con l’acqua, diversamente da quanto accade con l’ozono o con il biossido di cloro”.

6. Riflettere sul costo dell’acqua

Altro punto sul quale riflettere è legato al costo dell’acqua, con l’obiettivo di ridurre i consumi e (soprattutto) gli sprechi. Modulando i prezzi, infatti, è probabilmente possibile orientare anche l’utilizzo della risorsa. In Italia, ad esempio, l’acqua costa pochissimo: in media 1,55 euro al metro cubo. In alcune città anche meno, fino a 60 centesimi. In Francia, al contrario, costa 2,82 euro, in Belgio e in Lussemburgo 3,44. Ciò significa che il nostro è un sistema magnanimo e quelli altrui no? Non esattamente. Certo, l’acqua è un bene comune, essenziale, e un diritto fondamentale. Ma è anche vero che una bolletta troppo leggera può incentivare un uso troppo disinvolto del bene.

Nella città francese di Rennes, ad esempio, dal luglio del 2015 è stato introdotto un sistema tariffario declinato in termini sia sociali che ecologici. Il consumo dei primi dieci metri cubi è infatti gratuito, per aiutare i meno abbienti. Dalla goccia successiva, su applica una tariffa, che però è variabile in funzione dei consumi: più questi aumentano, più aumenta il prezzo al metro cubo. Questo per i cittadini. Per le aziende, è stata invece cancellata la tariffa regressiva (che, paradossalmente, diminuiva all’aumentare dei consumi).

7.  Canali irrigui al posto di vasche anti-inondazione

Nell’ambito di una gestione virtuosa dell’acqua, inoltre, è necessario affrontare poi il problema del contenimento delle piene derivanti dalle alluvioni. Una possibile soluzione è la costruzione di vasche volano: si tratta di grandi “contenitori” in cemento, utili per raccogliere le acque in eccesso vicino ai fiumi. Il problema è che l’impatto visivo di tali opere, spesso edificate in cemento, è particolarmente forte.

Il Gruppo Cap in Lombardia sta perciò studiando la possibilità di instradare le acque, in caso di inondazione, verso quel reticolo di canali irrigui – in buona parte progettati e costruiti in epoca medievale – di cui la provincia milanese è ricca. Ciò consentirebbe di salvaguardare il paesaggio garantendo al contempo la sicurezza dell’area. “Va detto – osserva Anglese – che per la corretta gestione delle acque meteoriche che si riversano nelle reti fognarie occorrerebbe in realtà eliminarle alla fonte: se non si immettessero più in fognatura le acque piovane dei tetti di tutti gli edifici si otterrebbero notevoli risultati, andandole a disperdere in altro modo, ad esempio infiltrandole nel sottosuolo”.

“Le vasche di accumulo (o vasche volano) – aggiunge l’ingegnere – rappresentano una soluzione integrativa, tenuto conto che molto spesso vi sono difficoltà per la loro realizzazione. Una possibilità, da studiare e valutare come sta facendo Gruppo Cap con l’università di Milano è effettivamente quella di riutilizzare il reticolo idrico minore per una volanizzazione diffusa: recuperare quanto già fatto dai cistercensi con le marcite e i canali di irrigazione, per far defluire le acque in eccesso e sfruttarle in agricoltura”.

8. Riforestare le aree inondabili

Ma anche interventi infrastrutturali possono essere utili per migliorare le reti (e anche il loro impatto paesaggistico). L’eliminazione o l’arretramento degli argini di quella che viene definita dagli esperti la “piana inondabile” di un corso d’acqua permette di creare delle aree di espansione naturale delle piene. In altre parole, invasi non artificiali che consentono di raccogliere le eccedenze nei flussi. Ciò senza ricorrere ad infrastrutture che obbligano ad artificializzare i corsi d’acqua. In questo senso, degli esempi virtuosi sono stati realizzati dal Servizio Tecnico di bacino Romagna, ente istituito nel 2012 con l’obiettivo di supervisionare i bacini idrici locali.

Ma non è tutto. È possibile ad esempio adottare politiche di riforestazione delle aree inondabili, al fine di rallentare i deflussi: in questo modo si ottiene il doppio vantaggio di attenuare i rischi e di aiutare l’ambiente grazie alla presenza di nuovi alberi. Un esempio è stato realizzato nel Parco dell’Oglio Sud, in Lombardia.

9. Recuperare la sinuosità naturale

Un modo forse più banale, ma altrettanto efficace, di fronteggiare le inondazioni, inoltre, può essere quello di recuperare la sinuosità naturale dei corsi d’acqua. Molti di questi sono stati infatti modificati nei decenni scorsi al fine di recuperare territorio da destinare a fini agricoli o edilizi.

Ciò ha aumentato la velocità dell’acqua e, conseguentemente, il rischio idrico a valle. Ma come recuperare il corso storico di un fiume? Ad esempio favorendo i naturali processi geomorfologici o – quando non è possibile assecondare i processi naturali – per mezzo di opere artificiali.

10. La bottiglia griffata

Guardando infine più alla vita di tutti i giorni, non si può dimenticare che è fondamentale incentivare il più possibile l’uso dell’acqua di rubinetto. Quella in bottiglia, infatti, nonostante sia ben più dannosa per l’ambiente rispetto a quella di rubinetto (soprattutto per via delle bottiglie di plastica e dei trasporti necessari per distribuirla sul territorio), è molto utilizzata nei paesi ricchi. Anche per ragioni di “stile”.

Così, nove anni fa la municipalizzata dell’acqua potabile di Parigi, Eau de Paris, ha deciso di produrre una bottiglia di vetro d’autore, esteticamente originale e piacevole, disegnata da Pierre Charpin. Un modo per convincere i cittadini a diminuire i consumi di acqua minerale, che secondo un sondaggio era la preferita per il 51 per cento degli abitanti. Questi ultimi affermavano infatti che mettere a tavola una bottiglia era “più elegante” piuttosto che presentare una caraffa.

Le bottiglie griffate sono state quindi distribuite nel corso della giornata mondiale dell’acqua del 2007, di fronte all’Hotel de Ville (la sede del Comune): un’occasione anche per pubblicizzare le qualità minerali e igieniche dell’acqua di Parigi. Oggi le caraffe sono vendute al pubblico al prezzo di dieci euro.

agricoltura siccità aqastyle news

Esperti, possibile contrastare impatto del clima sui raccolti.

Migliorare la gestione dell'acqua in agricoltura potrebbe dimezzare il gap alimentare mondiale entro il 2050 e attutire alcuni effetti negativi del cambiamento climatico - in primis la siccità - sui raccolti. A dirlo sono gli esperti dell'Istituto di Potsdam per la ricerca sugli impatti del clima, che per la prima volta hanno analizzato le possibilità di produrre più cibo con lo stesso quantitativo d'acqua, ottimizzando l'uso della pioggia e l'irrigazione. Stando agli esperti, investire nella gestione idrica può ridurre la fame nel mondo in modo sostanziale, e allo stesso tempo far fronte alla crescita della popolazione globale. "L'uso intelligente dell'acqua può incrementare la produzione agricola", evidenzia l'autore dello studio, Jonas Jagermeyr. La produzione mondiale di calorie potrebbe infatti aumentare fino al 40%. Secondo l'Onu, per eradicare la fame entro la metà di questo secolo le calorie prodotte dovrebbero crescere dell'80%. In sostanza, "la gestione idrica è un approccio ampiamente sottovalutato per ridurre la malnutrizione e aumentare la resilienza al clima". Il potenziale più alto per l'incremento delle rese agricole è nelle regioni dove l'acqua scarseggia come la Cina, l'Australia, la parte occidentale degli Usa, il Messico e Sudafrica. Le soluzioni praticabili sono diverse: dalla raccolta della pioggia in cisterne, praticata nella regione africana del Sahel ma meno nelle regioni semi-aride di Asia e Nord America, alla pacciamatura, cioè la copertura del terreno con plastica o scarti agricoli per mantenerlo umido, fino all'irrigazione a goccia. Mettere in pratica queste misure non è tuttavia semplice. Per riuscirci, spiegano gli studiosi, sono necessari una serie di regolamentazioni da parte dei governi locali e programmi di micro-credito.

Contatori aqastyle notizie

Caldaie a condensazione, pompe di calore, rubinetti digitali e impianti solari: tagliare le bollette domestiche si può, anche se è necessario un investimento iniziale che si ripaga nel giro di qualche anno. Le soluzioni presenti sul mercato saranno alla fiera di Milano dal 15 al 18 marzo in occasione della Mostra Convegno Expocomfort, una carrellata di prodotti per ridurre i consumi e aumentare la sostenibilità ambientale.

Per il riscaldamento si può, ad esempio, sostituire la caldaia tradizionale con una a condensazione, che permette di ottenere un rendimento maggiore grazie al recupero del calore latente dei gas di scarico. Considerando un'abitazione tipo, il tempo di pay-back è di 6-7 anni, a fronte di un investimento iniziale che può variare fra i 1.500 e i 3.500 euro.

Per raffrescare la casa, invece, si può optare per una pompa di calore, apparecchiatura che soddisfa il fabbisogno di climatizzazione sia invernale che estivo. Trasforma il calore presente nell'ambiente in energia termica per riscaldamento e acqua calda sanitaria, o per il raffreddamento (pompe di calore reversibili, o inverter). L'investimento varia dai 6mila agli 8mila euro e si ripaga in 2-3 anni.

Tra le soluzioni per ridurre il consumo idrico domestico c'è la rubinetteria digitale: dispositivi in grado di programmare erogazione, portata, miscelazione e temperatura dell'acqua in base alle esigenze aumentando l'efficienza. Si può ridurre il consumo idrico domestico del 10% anche sostituendo lo sciacquone con un modello dotato di doppio tasto, con cui si risparmiano 26mila litri di acqua all'anno.

Guardando alle energie rinnovabili, gli impianti solari termici, che sfruttano l'energia del sole per produrre acqua calda per uso sanitario, hanno mediamente un tempo di payback di un anno e mezzo-due anni. Il costo dell'impianto dipende dal tipo di collettore installato. Un impianto di 4mq, ideale per una famiglia di 3 persone, permette di evitare l'emissione di oltre 1500 kg di CO2 all'anno e riesce a coprire circa il 70% del fabbisogno medio di acqua. Un impianto solare fotovoltaico, invece, prevede un investimento minimo di 6mila euro, che può salire fino a 18mila euro per impianti con moduli a film sottile. L'investimento si ripaga in 6-7 anni.

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