bimba che beve acqua tecnoservices news

Anche allergia, asma e infiammazioni a carico delle vie aeree sono più frequenti se non ci si idrata a sufficienza. Ma a risentirne, in generale, è lo stato di salute.

Uno studio conferma il legame tra idratazione e tosse. Soffre, infatti, di questo fastidioso disturbo il 90 % dei bimbi disidratati contro il 52 % di chi beve adeguatamente. Il guaio è che più del 60% dei bambini non introduce quantità di acqua sufficienti. I dati emergono da un recente studio realizzato dall’Aist Associazione italiana per lo studio della tosse. La ricerca è stato condotta, a Bologna, su 400 ragazzi fra 6 e 14 anni e, oltre a evidenziare la relazione tra acqua e tosse, ha dimostrato che una corretta idratazione ha un effetto positivo anche sui bimbi che soffrono di asma riducendo gli episodi acuti. «Auspichiamo che i risultati di questo studio — sottolinea Alessandro Zanasi, esperto dell’Osservatorio Sanpellegrino e Presidente dell’Associazione italiana per lo studio della tosse – aumentino la consapevolezza di genitori e insegnanti, ma anche dei bambini sull’importanza di una corretta idratazione».

I rischi

Lo studio si è basato sulla compilazione di due questionari: uno sull’alimentazione, per conoscere e quantificare cibi e liquidi assunti dagli studenti e uno medico per mettere in relazione patologie respiratorie e allergiche con la disidratazione. Infine è stato determinato per ciascun alunno il valore della “osmolarità urinaria”, parametro utilizzato per la valutazione dello stato di idratazione. «Proprio in età pediatrica ed adolescenziale — continua Zanasi — la disidratazione può essere più spesso di quello che si pensi, un fattore che favorisce l’insorgere e il persistere di problemi respiratori allergici, asmatici e infiammatori a carico delle vie aeree. Nei bambini, l’incidenza di queste malattie è estremamente elevata e rappresenta una delle principali cause che porta a consultare il proprio pediatria oltre a influire pesantemente sulla spesa sanitaria». Una buona idratazione contribuisce a mantenere sano tutto l’apparato respiratorio proteggendone l’epitelio e favorendo l’attivazione dei naturali meccanismi di difesa (attività mucociliare) che facilitano l’eliminazione del muco.

Il ruolo dell’istamina

Un altro elemento a supporto dei rapporti fra apporto idrico, stato di idratazione e problematiche respiratorie, arriva dal fatto che quando l’organismo è disidratato aumenta la produzione di istamina, sostanza che favorisce l’insorgenza di reazioni allergiche/asmatiche. L’istamina, infatti, induce broncocostrizione, interferisce con il sistema immunitario, ed interviene anche nella regolazione dell’acqua nel nostro organismo. Ecco perché i problemi respiratori quali asma, allergie, infiammazioni tracheo-bronchiali e tosse possono essere indotti, facilitati ed aggravati dalla disidratazione. Ma non è solo il sistema respiratorio a soffrire se si beve poco.

Il bilancio idrico

L’acqua è uno dei più importanti principi nutritivi del nostro organismo, i bambini tuttavia bevono poco, sia perché poco sensibili allo stimolo della sete sia perché non sono stati educati a farlo. Nella maggior parte dei casi, sono gli stessi genitori a non essere consapevoli dell’importanza di una buona idratazione dei loro figli. È bene ricordare come la disidratazione sia uno stato patologico che si instaura quando il bilancio idrico, ovvero la differenza tra acqua assunta e l’acqua persa è negativo. Nel bambino la disidratazione determina in prima istanza una riduzione del rendimento psico-fisico fino ad arrivare a deficit di attenzione e di memoria a breve termine, che possono influenzare negativamente il rendimento scolastico.

La quantità d’acqua giusta

Ma quanto devono bere i bambini? Per i primi sei mesi di vita l’allattamento al seno soddisfa le necessità idriche del neonato, il fabbisogno nelle età successive è il seguente: dai 6 mesi ai 3 anni 600-900 millilitri al giorno; in età scolare fino a circa 1100; in età adolescenziale 1500-2000. In generale, è importante sapere – e questo vale per grandi e piccini – che il corpo umano non immagazzina l’acqua. Quindi la quantità che si perde ogni giorno deve essere ripristinata per garantire il corretto funzionamento del corpo. La regola sempre valida da tenere a mente per preservare la salute del proprio bambino e garantirgli una corretta idratazione è che la quantità e la qualità dell’acqua assunta dal bambino dipendono dall’età, dalle condizioni di salute, dal regime alimentare, dall’attività fisica svolta, dalla temperatura e dal tasso di umidità ambientale.

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Inquina, non è sicura ed è essenzialmente un 'vizio': i produttori ringraziano, ecco quanto è il profitto per i produttori. Un business incredibile.

 L’Italia è il secondo consumatore al mondo di acqua in bottiglia, seconda soltanto al Messico: si tratta di 200 litri per abitante, equivalente a 14 miliardi di litri ogni anno; per produrre tutto questo materiale plastico si sviluppano 20 milioni di tonnellate di quello che viene considerato il peggiore gas per la tenuta dell’atmosfera terrestre. Insomma, uno dei nodi fondamentali è la sostenibilità ambientale. Ma non solo. I problemi connessi alla produzione di acqua in bottiglia riguardano l’enorme business che si nasconde dietro e il fatto che si tratti di un acqua, più gradevole magari di sapore, ma molto meno controllata rispetto a quella del rubinetto. Ma andiamo con ordine.

Acqua in bottiglia: il problema ambientale

Iniziamo con i problemi ambientali connessi all’acqua in bottiglia. Oltre alla produzione di gas serra, l’acqua in bottiglia produce altre tipologie di danni per l’ambiente. Prendiamo il caso dell’Italia: solo il 15% circa delle bottiglie di plastica viene riciclato, il che vuol dire che il resto finisce negli inceneritori o, semplicemente, nell’ambiente, dove il potenziale inquinante è elevatissimo. Poi, c’è il problema del trasporto: l’acqua prodotta al Nord finisce al Sud e viceversa e si è calcolato che ogni marca compie un viaggio di 700 chilometri (su gomma). Insomma, un disastro.

Acqua in bottiglia: è meno sicura di quella del rubinetto

Un altro elemento da sottolineare è che l’acqua in bottiglia, dal punto di vista della salute, è meno sicura di quella che viene fuori dal rubinetto. Facciamo un esempio (seguendo le parole di Giuseppe Altamore, autore di libri sul business dell’acqua minerale): l’acqua del rubinetto non può avere una concentrazione maggiore di 10 microgrammi di arsenico per litro, mentre quelle in bottiglia possono arrivare a 40/50 microgrammi senza necessità di dichiararlo. Questo stesso discorso vale anche per altre sostanze. Quello che si sottolinea è che, adesso, la normativa sull’acqua del rubinetto è molto seria e le tecniche di filtraggio sono avanzatissime, mentre per l’acqua minerale il tutto è assolutamente libero. Un altro regalo ai produttori.

Acqua in bottiglia: un business incredibile

Arriviamo all’ultimo punto. L’acqua in bottiglia è uno degli affari migliori al mondo, con un tasso di profitto elevatissimo: basta semplicemente dire che per produrre mille litri d’acqua, un’azienda spende appena 2 euro. per quale motivo? Semplice, le concessioni che le Regioni ‘vendono’ alle aziende che prelevano l’acqua sono calcolate in maniera irrisoria, anche in zone in cui l’approvvigionamento idrico è scarso. L’Europa chiede all’Italia di adeguarsi alle normative della UE che prevedono una ‘tassa ambientale’ per l’impatto che determinate attività produttive hanno sul territorio. Facciamo un esempio: con la nuova tassazione, si pagherebbe 20 euro a metro cubo, mentre adesso è inferiore a 1 euro.

Triciclo ad acqua aqastyle

Accelerazione da paura per François Gissy che arriva a 260 km/h a cavallo di un trike a reazione.

E' a metà strada fra un dragster e una razzo spaziale, ha solo tre ruote e va ad acqua e aria. Ecco il ritratto del nuovo triciclo da record realizzato dal francese François Gissy che sul circuito del Paul Ricard è riuscito ad accelerare da 0 a 100 km/h in appena 0,551 secondi e di toccare i 260 km/h in poco più di 3 secondi. Per un rapido confronto basti vedere la Bugatti Chiron che per la stessa prova impiega 2,4 secondi.

Il pauroso balzo in avanti fatto Gissy sul suo trike a reazione lo potete vedere da varie angolazioni nel video qui sotto, ma se pensate di emularlo o lo state invidiando per l'impresa sappiate che il suo corpo ha subito un'accelerazione media di 5,138 g. Si tratta di una spinta superiore anche a quella sperimentata dagli astronauti durante il decollo del loro razzo vettore.

Acqua piovana e aria, ecco la ricetta

Una delle cose più incredibili di questa pericolosa impresa è che l'inventore francese ha utilizzato come propulsore un enorme serbatoio pieno d'acqua piovana e aria compressa. Il contenuto del "bombolone" fissato al triciclo viene rilasciato istantaneamente e questo schizza in avanti sul principio del motore a getto o a reazione. Gissy non è nuovo a questi exploit, visto che nel 2014 è riuscito a stabilire un record di velocità in bici (sempre a reazione) con 333 km/h.

Triciclo a reazione, da 0 a 100 km/h in 0,5 secondi.

Acqua piovana a aria compressa (molto compressa). Ecco gli ingredienti per il triciclo a reazione che va da 0 a 100 km/h in 0,5 secondi.

Lavoro pranzo aqastyle

Nemmeno ci ricordiamo quando è stata la prima volta in cui, per guadagnare tempo, abbiamo deciso di trascorrere la pausa pranzo in ufficio, incollati davanti allo schermo del pc. A chi non è mai capitato almeno una volta? Di regola, su lavoro, si pranza nella mensa aziendale o si esce coi colleghi per mangiare un piatto in una trattoria convenzionata coi ticket restaurant o prendere un tramezzino con caffè nel bar più vicino.

C’è chi, però, sopraffatto da pratiche, report, consegne da rispettare e grattacapi vari ed eventuali, ha fatto del pranzo davanti al computer un’abitudine. Da una recente ricerca condotta da una rivista di settore è addirittura emerso come un italiano su due, in pausa pranzo, faccia tutt’altro che mangiare. Alcuni continuano imperterriti a lavorare, sotto gli occhi dei superiori, altri vanno in palestra o escono a fare shopping, mangiando un boccone al volo in cinque minuti o saltando il pranzo a piè pari – salvo poi abbuffarsi la sera a cena.

Se l’unico inconveniente di pranzare lavorando pensavate fosse battere sulla tastiera con le mani unte di pizza o kebab, o non sentire il gusto del cibo da quanto si è immersi e concentrati sullo schermo, vi sbagliavate, e anche di grosso. Gli esperti hanno spiegato come pranzare frettolosamente smanettando sulla tastiera faccia tutto tranne che aumentare la produttività. Secondo alcuni farebbe addirittura ingrassare, indipendentemente da ciò che si mangia. Al contrario, staccarsi dal pc e dal lavoro, sia fisicamente che mentalmente, aiuta il cervello a cambiare prospettiva e a funzionare con maggiore efficacia.

Meglio staccare la spina, quindi, sia per il nostro benessere psicofisico, sia per essere più concentrati e motivati quando si riprende la postazione. Gli esperti consigliano di uscire per fare una passeggiata, per poi socializzare e fare “rete” coi colleghi in area relax, davanti alla macchinetta del caffè – o ancora meglio davanti al dispenser acqua dell’ufficio: uno studio statunitense sostiene infatti che bere acqua in ufficio renda più produttivi, non soltanto nei mesi estivi. Se disidratati, ci si ritrova smemorati e distratti. Chi beve poca acqua in ufficio avrebbe dimostrato di incorrere in un calo di produttività del 12%.

Concludiamo con una piccola curiosità: il fotografo statunitense Brian Finke ha realizzato una serie per il New York Time Magazine immortalando la vita – e le espressioni tristi e alienate – degli impiegati costretti davanti al computer nell’unico momento di pausa della giornata lavorativa. Intitolate sarcasticamente “Desktop Dining”, queste foto sembrano dirci: alzatevi, almeno in pausa, e rilassatevi. Non c’è lavoro o consegna che valga di più.

Acqua cervello aqastyleE’ un’emozione primordiale, un istinto cruciale per la sopravvivenza: la sete. Ma come e dove nasce questa sensazione che spinge a bere acqua quando il nostro organismo ne ha bisogno? Un team di scienziati in Usa ha scoperto i neuroni che la governano, una sorta di centralina che sembra giocare un ruolo diretto. Studiando i topi, gli esperti hanno osservato che l’attività di un gruppo di neuroni diminuiva quando i roditori consumavano più acqua. Già ricerche precedenti suggerivano che una certa regione del cervello, il nucleo preottico mediano, contribuisce alla sensazione di sete, ma gli esatti meccanismi sottostanti con cui avviene sono rimasti in gran parte sconosciuti.

Per ottenere una migliore comprensione della ‘macchina’ della sete nel cervello, William Edward Allen dell’università di Stanford e colleghi hanno analizzato l’espressione di Rna all’interno del nucleo preottico mediano di topi che erano stati privati ​​di acqua per 48 ore, identificando un cluster di neuroni eccitatori. A questo punto, si legge su ‘Science’, i ricercatori hanno usato l’optogenetica per inibire questi neuroni, e i topi hanno ridotto il loro consumo di acqua. Al contrario, la fotoattivazione dei neuroni in animali sazi di acqua li ha spinti ad aumentarne lo stesso il consumo.
Osservando poi i roditori formati per premere una leva per accedere all’acqua, gli scienziati hanno ipotizzato anche che l’attività dei neuroni del nucleo preottico mediano sembra adattarsi all’assunzione di acqua. Gli autori dello studio hanno anche individuato i modi in cui i neuroni della sete sono collegati a una varietà di altre regioni del cervello, che potrebbero tradurre questo impulso in azioni specifiche dirette.

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